Continuando poi su questo percorso dobbiamo quindi soffermarci sul significato di connotazione denotazione ovvero del dare le caratteristiche di una determinata cosa è dell’indicarne un'esemplare. Proviamo così a parlare della critica della ragion pratica in cui si esalta l'uso regolativo della ragione in quanto nel campo della filosofia morale la ragione umana riesce a fare ciò che non è riuscita a fare nella filosofia speculativa ovvero della conoscenza ed è questo il carattere formale dell'etica kantiana al quale si legano le tre domande fondamentali che Kant si pose per tutta la vita:
1. Che cosa posso conoscere?
2. Che cosa posso sperare?
3. Che cosa devo fare?
A queste domande Kant cerco di dare una risposta partendo dal fatto che l'uomo può conoscere solo il mondo fenomenico e alla terza domanda ovvero che cosa devo fare Kant risponde che esiste una legge morale dentro di noi che ci indica cosa sia più giusto fare. Dunque, solo la ragione pura può dirmi cosa devo fare. Infatti, Kant scrisse “la ragion pura e di per se stessa pratica e da all'uomo una legge universale che noi chiamiamo legge morale”. Se il soggetto della ragion pura era l'impossibilità di conoscere la verità su Dio il mondo e l'uomo per la ragion pratica invece è il conflitto tra la virtù e la felicità da cui arriva all'imperativo categorico e all'imperativo ipotetico. L'imperativo categorico è quando dobbiamo fare un qualcosa perché necessario e non perché si aggiusta farlo ma perché vi è uno scopo dietro ciò mentre l'imperativo ipotetico e quando si fa qualcosa perché sia giusto farlo e non perché ci sia per forza un obiettivo o un perché dell’azione; infatti, Kant scrisse che bisogna trattare gli altri come noi vogliamo essere trattatino. Inoltre, secondo Kant esistono tre postulati della ragion pratica:
1. la libertà. Se non esistesse la libertà non esisterebbe la morale
2. l'esistenza di Dio. La morale ci è stata data da Dio e quindi quando parliamo di morale dobbiamo pensare anche a Dio
3. l'immortalità. Se nella vita usando la virtù non si ottiene la felicità postulando invece l'immortalità dell'anima ci si aspetta che in un'altra vita la virtù venga ricompensata.
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